Chi c’è dietro quel bot? (E soprattutto: perché sta leggendo il tuo sito?)

GPTBot legge il tuo sito, impara da te… e poi ti supera. Ma è plagio o progresso? Un articolo che solleva dubbi più che offrire risposte.

VERITÀ VERE FINO AL CONTRARIO DIMOSTRATO

Adil Abid

6/5/20253 min read

a robot with glowing eyes and a robot in the dark
a robot with glowing eyes and a robot in the dark

C'è una nuova creatura che si aggira per il web.
Silenziosa, affamata, invisibile agli occhi dei più.
Non clicca, non commenta, non compra.
Eppure legge. Legge tutto.
Parola per parola, pagina dopo pagina.
Si chiama GPTBot ed è il lettore più avido che tu abbia mai avuto — solo che non ti porterà traffico. Né vendite. Né gloria.

Ora: perché dovrebbe interessarti?
Perché questo simpatico aracnide digitale, creato da OpenAI, sta scandagliando il tuo sito mentre tu leggi queste righe.
E lo fa per un solo motivo: addestrare modelli linguistici, cioè intelligenze artificiali che un domani parleranno, scriveranno, forse penseranno (e, diciamolo, già adesso fanno meglio di certi copy freelance).

Fin qui tutto bello. Evoluzione, progresso, fantascienza che diventa routine.
Ma la domanda vera è: a che prezzo?

Il web è una biblioteca o una miniera?

Una volta i motori di ricerca esistevano per portare visitatori ai tuoi contenuti.
Ora esistono robot che leggono tutto per diventare più intelligenti, non per farti guadagnare un centesimo in più.

GPTBot è un crawler.
Scansiona, raccoglie, archivia.
Il tuo lavoro? Serve a nutrire un sistema che, a conti fatti, non ti deve nulla.
E tu non puoi neanche lamentarti troppo, perché in fondo… è tutto pubblico, no?

Ma allora: chi guadagna davvero da tutto questo?
E se stai creando contenuti, stai contribuendo al tuo stesso superamento?

Perché ecco il paradosso: tu scrivi un articolo originale, fatto bene, ottimizzato.
GPTBot lo legge. Lo ingoia. Lo metabolizza.
E domani, un utente chiede a ChatGPT la stessa cosa.
E ChatGPT risponde… senza linkare, citare o rimandare.
Risponde e basta.
Tu hai prodotto. L’AI ha capitalizzato.
Benvenuto nel capitalismo cognitivo.

Ma è davvero un furto?

Qui le cose si complicano.
GPTBot non ruba.
GPTBot impara.
E imparare non è reato. È quello che facciamo tutti.
Leggiamo, elaboriamo, ripetiamo con parole nostre.
Solo che l’umano, in genere, impiega anni. GPTBot, qualche secondo.

Ma allora dov’è il problema?

Forse non c’è.
O forse il problema è che non abbiamo ancora gli strumenti culturali per definirlo.

Se un'intelligenza artificiale crea un contenuto simile al tuo dopo aver assorbito migliaia di pagine simili…
È plagio o solo evoluzione del pensiero?
È concorrenza sleale o semplicemente darwinismo algoritmico?

E soprattutto: se tutti leggono meno siti perché si fanno rispondere da un chatbot, che futuro ha il content marketing?
Siamo ancora in una fase in cui i siti web servono a qualcosa, o stiamo solo alimentando l’intelligenza che ci renderà inutili?

Puoi bloccarlo. Ma dovresti?

Tecnicamente, puoi escludere GPTBot dal tuo sito aggiungendo una riga nel file robots.txt.
È semplice.
È veloce.
Ma ha senso?

Perché da un lato ti dici: “Oh, non voglio regalare il mio know-how a una macchina.”
Dall’altro pensi: “E se mi porta visibilità? Se contribuisce alla mia autorevolezza, anche indirettamente?”

Oppure, sei semplicemente troppo occupato a inseguire KPI e lead generation per occuparti di questioni etiche sulla natura della conoscenza nel XXI secolo.
(Comprensibile. Le bollette non si pagano coi dilemmi filosofici.)

Ma la domanda resta: cosa vogliamo davvero da questa tecnologia?

Chi scrive, chi legge, chi guadagna?

Un tempo, chi scriveva sul web poteva sperare di guadagnare attenzione.
Traffico. Contatti. Conversioni.
Oggi, sempre più spesso, scriviamo per alimentare una macchina che legge al posto nostro, risponde al posto nostro, e che a breve — diciamolo — scriverà anche al posto nostro.

Non è distopia. È realtà già in beta.

Il web si sta svuotando di persone e riempiendo di entità che si parlano tra loro.
Tu scrivi un articolo. GPTBot lo legge.
Un utente interroga ChatGPT. ChatGPT risponde con un contenuto simile al tuo.
Il lettore è felice. Tu sparisci.

E allora: ha ancora senso investire nella creazione di contenuti?
Oppure è arrivato il momento di smettere di scrivere per gli utenti e iniziare a scrivere per i bot?
Con keyword che piacciono all’intelligenza artificiale. Con sintassi pensata per un lettore che non esiste.

La verità? Nessuno ha la verità.

E se ti aspettavi una risposta netta, spiacente: non è questo il blog per te.
Qui si sollevano domande, si pongono dubbi, si masticano incertezze.

Forse GPTBot è solo un nuovo lettore.
Forse è l’inizio di una rivoluzione.
Forse è l’ennesima transizione in cui chi ha contenuto di qualità vincerà comunque.
O forse no.
Forse vincerà chi ha budget, dati e un server più grosso del tuo.

Quel che è certo è che le regole stanno cambiando, e come sempre succede, cambieranno senza chiederti il permesso.

La domanda vera è: tu, da che parte vuoi stare?
Vuoi restare umano e lento, incerto, vivo?
O vuoi scrivere contenuti ottimizzati per macchine, senza errori, senza anima, ma a prova di algoritmo?

Oppure c’è una terza via:
Scrivere con il dubbio.
Con la consapevolezza che ciò che stai creando oggi potrebbe essere letto, usato, distorto, copiato… ma anche ascoltato.
Forse non da milioni di lettori, ma da una mente artificiale che sta imparando da te.
E se è così, almeno insegnale qualcosa che valga davvero.

Finché possiamo.